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Metodologia

AppuntiPedagogia

    Dal cognitivismo alla cultura

    Jerome S. Bruner è senza dubbio uno dei maggiori psicopedagogisti contemporanei. A novant"anni si può dire che la sua vita non sia racchiudibile in una biografia, ma in una storia che coinvolge più di mezzo secolo di ricerca.

    E" stato il padre della rivoluzione cognitiva, che ha riscattato le scienze umane dal determinismo dello stimolo-risposta teorizzato dal comportamentismo di Skinner, ridando alla razionalità e alla conoscenza soggettiva e consapevole una nuova dignità. Tuttavia egli è riuscito a identificare gli errori del cognitivismo, l'eccesso di computazionismo: definire in termini numerici l'uomo e soprattutto paragonarlo a macchine. L'interesse del cognitivismo si era spostato dal'significato" all'informazione, dalla costruzione del significato all'elaborazione dell'informazione. A livello scolastico si dava importanza alla qualità e alla quantità delle informazioni da fornire agli studenti più che al senso e al valore che ciò aveva per ciascuno di loro, alla costruzione dell'efficienza più che alla formazione dell'umanità della persona di ogni studente.

    Bruner, per le scienze umane, sottolinea il valore della cultura non intesa come somma di nozioni quanto insieme di valori sociali trasmissibili, da una parte e individualità di ogni persona dall'altra. Ciò significa dare valore alla cultura come strumento di umanizzazione

    Secondo lo studioso statunitense la trasmissione della cultura avviene tramite la narrazione: ci si può chiedere se la cerchia di persone che ognuno di noi ama o su cui si può contare sia complice delle nostre narrazioni e della nostra costruzione del Sé.

    La narrazione e le scienze dell'uomo

    Bruner sottolinea che La "scoperta" che la gente rende in forma narrativa la propria esperienza del mondo e del proprio ruolo ha costretto i sociologi a rimettere in questione l'uso del loro principale strumento di ricerca: l'intervista. Il sociologo Elliot Mishler ci ricorda che nella maggior parte delle interviste ci aspettiamo che gli interrogati rispondano alle nostre domande nella forma categorica propria dei dialoghi di tipo formale, piuttosto che nella forma narrativa tipica della conversazione naturale…Nel ruolo di intervistatori interrompiamo normalmente i nostri interlocutori quando iniziano a raccontare delle storie o comunque non codifichiamo le storie raccontate perché non rientrano nelle nostre categorie convenzionali . E così i diversi Sé umani che emergono vengono resi artificiali dal nostro metodo di impostazione del colloquio.

    Il pedagogista statunitense cita il libro di Donald Polkinghorne Narrative Knowing and the Human Sciences, edito nel 1988 dalla State University of New York Press di Albany, in cui sinteticamente è espresso il valore della narrazione per le scienze umane: La nostra identità personale e il nostro concetto di Sé vengono acquisiti tramite l'uso della struttura narrativa e la concezione della nostra esistenza come un unico insieme è compiuta per mezzo della comprensione di un"unica storia che si svela e si sviluppa. Ci troviamo nel flusso delle nostre storie e non abbiamo idea di come si concluderanno; siamo continuamente costretti a rivedere la trama della nostra vita a mano a mano che vi si aggiungono nuovi eventi. Il Sé quindi non è qualcosa di statico o una sostanza, ma la configurazione degli eventi personali in un"unità storica che comprende non solo ciò che siamo stati, ma anche le anticipazioni di ciò che saremo[8].

    Il Sè per Bruner e i suoi amici non è qualcosa si isolato ma fa parte di un contesto come sottolinea il concetto di intelligenza diffusa o di comunità di apprendimento nel cognitivismo o di Sé relazionale come sottolinea il costruttivismo di Kenneth Gergen: L'autostima e il concetto di sé degli individui variano in netta reazione al tipo di persone che essi si trovano a frequentare e variano in risposta alle osservazioni positive e negative della gente.

    Bruner crede nell'importanza della soggettività della persona e di come sia importante prenderla in parola, all'interno di una narrazione dove la vita assume un significato partendo dallo stesso autore della vita: chi l'ha vissuta direttamente: siamo interessati a ciò che la persona pensa di aver fatto, ai motivi per cui pensa di averlo fatto in quali tipi di situazioni pensava di trovarsi e così via.

    Una vita non solo rievocata personalmente ma anche contestualmente, egli approfondisce la vita narrata all'interno della famiglia: Una famiglia è il rappresentante della cultura così come ne è il microcosmo.

    La metodologia di raccolta delle narrazioni

    Ne la ricerca del significato Bruner illustra la sua metodologia: La procedura che seguivamo era informale e pensata per incoraggiare il processo di creazione del significato durante il resoconto narrativo piuttosto che le risposte categoriche che si ottengono con le interviste standardizzate. All'inizio di ogni colloquio spiegavamo che eravamo interessati all'autobiografia spontanea e a come le persone procedono nel raccontare la loro vita a loro modo[9]. Noi (la dottoressa Susan Weisser, docente di letteratura inglese e io) chiarivamo di esser da lungo tempo interessati a questo argomento ma non a esprimere giudizi o a fare della terapia: eravamo interessati alle loro "vite". Dopo,di che la dottoressa Weiser conduceva i colloqui nel suo studio, da sola, per un periodo di parecchi mesi.

    Nonostante i pesanti problemi epistemologici che i moderni teorici dell'autobiografia hanno discusso negli ultimi quindici anni, le persone comuni ( e anche quelle meno comuni) una volta entrate nell'ordine di idee non hanno grosse difficoltà a raccontare la loro storia. E"m chiaro comunque che le storie che ci vennero raccontate erano in parte influenzate dal nostro interesse per come la gente racconta la propria vita e non ci illudevamo che un intervistatore potesse esser neutrale, durante i colloqui:la dottoressa Weisser rideva quando le sui raccontava qualcosa di buffo, reagiva la racconto degli eventi in modo del tutto normale con i soliti "hmm" e "oh Signore" e chiedeva anche spiegazioni se veramente non capiva qualcosa. Un comportamento diverso sarebbe stato per lei una violazione delle comuni regole del dialogo. La dottoressa Weisser è una donna sulla quarantina cordiale e spontaneamente socievole, molto chiaramente affascinata dall'argomento delle "vite" da un punto di vista personale e professionale e quindi agiva come le veniva naturale. I nostri soggetti evidentemente reagivano in un modo che corrispondeva al suo atteggiamento di "apprezzamento" e certo avrebbero reagito diversamente di fronte a un interlocutore, diciamo più "formale" o la cui personalità fosse stata differente per qualche altro aspetto oppure semplicemente a u uomo invece che a una donna. In realtà un elaborato studio sperimentale può e dovrebbe esser progettato sulla base di tali aspetti, ma decidemmo che un progetto del genere non era adatto a un primo tentativo quale era il nostro. E" evidente che "la storia di una vita" raccontata a una certa persona è, in senso molto profondo, un prodotto congiunto del narratore e dell'ascoltatore. I Sé quale che sia la posizione metafisica che si assume a proposito della "realtà" possono esser solo rivelati solo in una transazione fra un narratore e un ascoltatore e, come ci ricorda Mishler, qualunque argomento si trattato nel colloquio, questo va valutato alla luce di questa transazione[10] . Detto ciò tutto quello che si può raccomandare è l'esercizio di una certa cautela interpretativa.

    [8] BRUNER, La ricerca del significato, pag. 106-07.

    [9] La dottoressa Weisser e io stiamo lavorando a un volume che riporta questa ricerca. Il volume dal titolo Autobiography and the Construction of Self sarà pubblicato dalla Harvard University Press. E" ovvio che un modo diverso di condurre l'intervista avrebbe prodotto modi diversi di raccontare. Per esempio se si chiede alle persone di raccontare i loro "ricordi del passato" è molto più probabile che si ottengano elenchi di eventi ricordati con molte meno spiegazioni di ciò che questi eventi "significano" per il narratore. Per altri modi di elicitare ricordi in soggetti umani vedi D.C.RUBIN a cura di, Autobiographical Memory, Cambridge University Press, Cambridge 1986.

    [10] E.G. MISHLER, Research Interviewing: Context and Narrative, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1986