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Raccogliere storie di vita
Franco Ferrarotti è tra i sociologi italiani più importanti, sua è stata la prima cattedra di Sociologia, con Nicola Abbagnano ha fondato i "Quaderni di sociologia" e attualmente dirige la "Critica sociologica". Tra i principali interessi vi è la raccolta delle storie di vita che ha studiato in numerosi saggi, tra ii quali Storia e storie di vita, pubblicato nel 1981 da Laterza.
In uno dei suoi ultimi saggi intitolato L'ultima lezione Critica della sociologia contemporanea, propone quella che in termini accademici viene chiamata "lezione magistrale". Al momento di lasciare la cattedra di sociologia dopo quarant"anni di insegnamento fa un bilancio delle sue ricerche e, come sottolinea la presentazione del libro, ribadisce la sua adesione a una sociologia come scienza dell'osservazione concettualmente orientata dei fatti sociali a sicura distanza tanto dal grezzo attualismo del paleopositivismo quanto del soggettivismo psicologizzante. E" nel rapporto dialettico fra indagine scientifica e impegno sociale che va ricercato il fascino ma anche la difficoltà dell'impresa sociologica.
Nelle prime battute della sua lezione rivendica l'importanza della socialità dell'uomo che non vive nel deserto e l'importanza della sua identità che si evidenzia nella sua storia personale, collegata a quella degli altri, di cui spesso si nega l'importanza E" evidente che i grandi interessi consolidati e i potentati economici dominanti non si contentano di liquidare gli ideali: pretendono anche un individuo privo di radici storiche, frantumato in una serie di personalità virtuali[11] astoricamente gabellate per arricchimenti. Mentre sono solo uno specioso autoinganno a spese di un individuo defraudato delle sue memorie e quindi delle sue autonome prospettive di sviluppo.
Ferrarotti prende le distanze dai metodi quantitativo-numerici nello studio dell'uomo, a favore di una scelta qualitativa che parte dal racconto di vita, Ho imparato che non tutto il conoscibile è misurabile. Le risposte a domande precodificate sono precise, matematicamente elaborabili a piacere. Resta il dubbio circa la loro portata Il ricercatore tende molto naturalmente ad anticipare il risultato se non trovare la conferma ai suoi pregiudizi. Proietta le sue convinzioni i suoi legittimi principi di preferenza e li esprime in formulazioni che suonano scientifiche ma che sono come tali del tutto illegittime. Privatizza la scienza che è procedura pubblica.
La salvezza, se vi è salvezza nelle scienze dell'uomo è in una ricerca che rispetti la soggettività delle persone, che ne proponga l'umanità, gli ideali, i valori e la vita, le narrazioni delle autobiografie in cui vi sia un reale rapporto di rispetto reciproco e non vi sia un oggetto e un soggetto della ricerca ma che tutti siano ricercatori in modo che nessuno possa esserlo in termini personali e privati.
Continua Ferrarotti nella sua ultima lezione che si configura come una legacy scientifica un testamento spirituale Ho imparato che le dichiarazioni autobiografiche, i documenti e i racconti biografici sono, come sapevano i classici, il materiale primario della ricerca, ma che pongono anche questioni che cadono al di là dell'aspetto interno della metodologia. Coinvolgono l'atteggiamento morale metateorico del ricercatore. La loro raccolta esige la caduta e il superamento dell'asimmetria fra ricercatore e situazione umana indagata. Entra così in crisi la concezione tuttora dominante della cultura come capitale privato. Ho imparato che il ricercatore è sempre dentro non fuori della ricerca. Ho imparato in altre parole che il ricercatore è sempre anche lui un ricercato. Nel momento in cui interroga si autointerroga: la ricerca cessa di esser una comunicazione a una sola via ovvero un procedimento essenzialmente autoritario in cui c"è chi agisce e chi subisce. Si trasforma in dialogo. Si fa con-ricerca.
Il volumetto edito da Laterza nel 1999 riportante L'ultima lezione di Franco Ferrarotti racchiude anche un testo metodologicamente importante: Storia e teoria nella, ricerca sociale. E" un panorama critico delle ricerche sociologiche contemporanee in cui sottolinea tra l'altro l'esigenza di tentare il recupero della dimensione longitudinale della ricerca (paritarietà tra chi indaga e chi è indagato) e di una storicità neostoricistica con le storie di vita come senso della vita, inoltre occorre passare dall'essenzialismo tipico dei concetto filosofici puri, ai concetti operativi elaborati e tarati nel farsi della ricerca; questo processo non può esser descritto dall'esterno occorre ogni volta rifarlo (ogni ricerca ha una sua logica e una sua metodologia che si produce sul campo, vedi la metodologia di Nuto Revelli); per questa via è dato di andare oltre la sociologia paleopositivistica ingenuamente quantitativa per rivalutare il metodo o più precisamente e umilmente l'approccio qualitativo.
La parte metodologicamente più interessante del libretto del sociologo italiano è l'ultima: Le storie di vita come metodo. Offre la possibilità di affinare il metodo attraverso il quale raccoglier gli itinerari educativi dei genitori. Vi è in partenza, come negli altri testi una messa a punto della dialettica tra metodo quantitativi e metodo qualitativo scelto da Ferrarotti: Un tempo trionfavano come del resto ancor oggi primeggiano i metodi quantitativi e per ragioni tutt"altro che trascurabili: sono metodi rigorosi che gareggiano in precisione numerica con le scienze dure dette temerariamente esatte della natura, a sicura distanza da quelle discipline del vago e del pressappoco che sono le scienze umane tradizionali specialmente quelle storiche sociali . Altre ragioni sono pudicamente sussurrate dagli interessati: ma il loro peso è indubbio i metodi quantitativi consentono previsioni circa l'esito e il tempo richiesto dalla ricerca, piuttosto sicure e quindi tranquillizzanti per i committenti che pagano volentieri pur di avere in mano le risultanze della ricerca in tempo utile, insieme a diagrammi e tabelle del tutto rispondenti al loro approccio pragmatico. Quanto ai ricercatori che nelle ricerche sul campo non hanno da sporcarsi le mani più del necessario: Gli strumenti quantitativi – questionari, punteggi, scale di atteggiamenti, formule per i coefficienti di correlazione e cosi via – sono precostituiti a tavolino e collaudati. Basta applicarli a dovere seguendo scrupolosamente le istruzioni per l'uso e mantenendosi a igienica distanza dagli "oggetti" della ricerca.
Rispetto e moralità nella raccolta delle testimonianze: il contratto di fiducia
Continua Ferrarotti: Le pagine introduttive di Pierre Bourdieu a La misère du monde sono a questo proposito illuminanti e pienamente condivisibili: "Come di fatto non provare un sentimento di inquietudine nel momento di rendere pubbliche delle dichiarazioni private, delle confidenze raccolte in un rapporto di fiducia? Mai contratto è così carico di esigenze tacite come un contratto di fiducia" Bourdieu giunge a citare Spinoza: Non deplorare, non ridere non detestare ma comprendere. E" proprio alla comprensione profonda e non solo alla descrizione dei contorni esterni che servono le "storie di vita". Ma hanno naturalmente un prezzo che il sociologo quantitativo può bellamente ignorare: costringono a guadagnarsi la fiducia degli interlocutori, a non limitarsi a porre una crocetta nella casella giusta ("si, "no", "non so") a saper ascoltare e in questa capacità d"ascolto a saper innalzare la ricerca al di là del mero resoconto sociografico - inventariale o del rapporto di polizia. In altre parole fra i ricercatori e gli "oggetti" della ricerca deve instaurarsi una relazione significativa, una vera e propria interazione che , mentre coinvolge naturalmente le persone su cui si viene conducendo la ricerca, chiama anche in causa i ricercatori e fa cadere il muro difensivo messo tradizionalmente in piedi dalla cultura intesa come capitale privato. E la ricerca stessa abbandona la sua struttura asimmetrica che ne fa, oltre che un"impresa conoscitiva un"operazione di potere. Le "storie di vita" aiutano a comprendere che nella ricerca sociale ogni ricercatore è anche un "ricercato".
Che fare una volta che si è raccolta una storia di vita? Ecco dunque davanti a me una storia di vita debitamente registrata e quindi sbobinata. L'ho ottenuta dal mio interlocutore guadagnandomene la fiducia. Si è stabilita fra noi una corrente "empatica", fragile, ma sufficientemente sostenuta, basata su un processo di interazione che ha cancellato almeno per qualche ora le asimmetrie culturali e i "salti" della stratificazione sociale. La raccolta della storia di vita implica per il ricercatore alcune rinunce e l'accettazione di qualche principio etico piuttosto importante. Bisogna rinunciare alla cultura intesa come capitale privato[12] e strumento di confronto antagonistico e di potere e nello stesso tempo bisogna accettare di mettersi sulla stessa lunghezza di onda dell'interlocutore riconoscere che ricercatore e "ricercato" sono coinvolti allo stesso titolo nella stessa impresa. Il risultato di questa complessa operazione, per la quale non si danno regole metodologiche prestabilite e che costituisce in senso rigoroso il momento qualitativo e la prima fase orientativa di qualsiasi ricerca sociale è la storia di vita che adesso mi sta davanti. Che farne? Come utilizzare questi "materiali" diseguali e slabbrati ma fondamentali per la riflessione sociologica?
La storia di vita è un testo. Un testo è un "campo" un"area piuttosto ben definita. E" un "vissuto" con un"origine e uno svolgimento con progressioni e regressioni con contorni precisi, con una sua cifra un suo significato. Sento di dovermi avvicinare a questo testo con attenzione umile, facendo tacere il'chiasso interiore". Occorre avvicinarsi al testo con la cura e il rispetto dovuti all'altro da sé. Si entra nel testo. Non basta leggerlo con l'attenzione esterna di chi legge solo per informarsi. Bisogna "abitarlo"
E Ferrarotti continua nelle sue indicazioni rispettose e preziose di vecchio e prudente sociologo.
Pedagogia dei Genitori non si limita a esaminare le storie di vita dei genitori che sono itinerari educativi. Li utilizza per valorizzare le competenze educative della famiglia. Come?
Ecco che si apre un altro capitolo.
Quello riguardante la metodologia della ricerca in campo medico
Quadri esplicativi da inserire nel testo
CRITICA ALL'IMPOSTAZIONE POSITIVISTA
[1] Il positivismo, nella cui eredità siamo ancora largamente, immersi trasforma la ragione (illuministica) in mero strumento di calcolo, in analisi del rapporto ottimale fra mezzi e fini dati, separandola dalla critica e dalla discussione che riguarda i fini ultimi dell'agire. Contro una simile idea di ragione astratta e formale è possibile oggi, forse, ricorrere alle ragioni dell'esperienza.. Il sapere dell'esperienza non si esprime in formule, ma in figure e racconti…Se da un lato il sapere dell'esperienza si esprime in figure e immagini, dall'altro esso si esprime anche in massime per l'azione e soprattutto in indicazioni che riguardano forme di attenzione. Tali forme di attenzione riguardano in primo luogo la diffidenza nei confronti di ogni sapere consolidato. Nessuna cosa l'esperienza aborre di più della reificazione. Ogni volta che l'esperienza nomina qualcosa è come se lo facesse per la prima volta. L'attenzione che l'esperienza comanda è quella alla complessità dei rapporti fra la soggettività del conoscente e ciò che è conosciuto. Lo scienziato sociale che accetti di metter in gioco la propria esperienza all'interno del proprio lavoro accetta di metter in gioco le proprie fantasie tanto quanto le categorie del sapere professionale. ….Il ricorso all'esperienza si configura in questo senso come richiamo ricorrente al'senso" del proprio lavoro e alle origine delle sue domande. Contemporaneamente si configura come invito all'ascolto delle narrazioni altrui. Chi ha esperienza sa narrare diceva Benjamin: Ma sa ascoltare anche i racconti degli altri. Nella tensione fra ciò che è narrato dagli individui e le forme del sapere scientifico si apre lo spazio della ricerca i cui esiti sono ancora da scoprire: Paolo Jedlowski in AA VV Scrivere l'esperienza in educazione, CLUEB, Bologna 1996, pag. 38. Nelle riflessioni di Paolo Jedlowski vi è in nuce l'intuizione del patto educativo scuola famiglia sanità promosso dall'ente locale, UNA DELEL AZIONI PROMOSSE DAL Centro Nazionale Documentazione e Ricerca Pedagogia dei Genitori della Città di Collegno (TO):.
"FISICALISMO
(Proporre il modello scientifico della fisica nelel scienze dell'uomo)
Nella cultura moderna il modello del sapere è rappresentato da quello delle scienze fisiche. Si delinea come ricerca della certezza riguardo ai rapporti formali tra fenomeni. Questo tipo di sapere si costituisce a partire dall'epoca di Bacone e Galilei in un rapporto ambivalente con l'esperienza. Per un verso esso comporta una valutazione del tutto nuova dell'esperienza come via maestra del conoscere…il sapere scientifico si configura come sapere razionale fondato sull'osservazione. D"altro canto proprio l'esigenza di razionalizzazione del processo conoscitivo comporta una svalutazione radicale dell'"esperienza" del soggetto nella misura in cui gli elementi "soggettivi" del conoscere appaiono una turbativa rispetto all'oggettività ideale del conoscere stesso. L'affermazione di un linguaggio formalizzato ( il linguaggio delle matematiche) come linguaggio scientifico per eccellenza risponde a questa esigenza di razionalizzazione concentrando l'attenzione della scienza sui rapporti misurabili fra i fenomeni intesi come gli unici suscettibili di una verifica intersoggettiva e dunque di un sapere" certo".
Nel corso del XX secolo questo ideale classico di scienza entra indubbiamente in crisi, tanto nelle scienze fisiche (quanti e frattali che non rispondono alle leggi canoniche), quanto e soprattutto nelle scienze umane dove si fa strada la consapevolezza della posizione ineliminabile del soggetto all'interno del processo conoscitivo. Contemporaneamente lo stesso carattere cumulabile e progressivo del sapere scientifico viene messo in dubbio attraverso una nuova consapevolezza del carattere sociale della legittimazione dei modelli scientifici validi (vedi teoria del cambiamento dei paradigmi scientifici teorizzato da T. Kuhn). Paolo Jedlowski in: AA VV Scrivere l'esperienza in educazione, CLUEB, Bologna 1996, pag. 38.
La psicologia nella sua versione "moderna" ha scelto di prendere a modello il metodo della fisica. Le nostre prime "leggi" psicologiche riguardavano la psicofisica, si occupavano della sistematicità con cui le grandezze soggettive misurate psicologicamente derivavano dalle grandezze misurate fisicamente. Si era in cerca delle "dimensioni" della coscienza come controparti devianti ma sistematiche della "dimensioni della natura"… Nella psicologia psicofisica "classica" non vi era posto per la "psicologia popolare". Eppure le teorie popolari, espresse da una data cultura sulla natura umana sono destinate a incidere su questioni di grande peso quali il modo con cui quella cultura amministra la giustizia, educa i giovani, aiuta gli indigenti e perfino conduce le sue relazioni interpersonali. In un certo senso la normale condotta della vita, in particolare della vita sociale richiede che tutti siano psicologi, che tutti abbiano delle teorie sui motivi per cui gli altri agiscono in un certo modo: J.S.BRUNER, La cultura dell'educazione, pag.177.
CHIARIRE O CAPIRE
[1] Parallela a questa impostazione è la critica alla scienza dell'uomo che parte dalla definizione e da questa determina il corso della vita. Un esempio è certa pedagogia speciale legata alla diagnostica: una volta individuata una diagnosi da questa si derivava il futuro comportamento della persona reale. Nei libri teorici riguardanti ad esempio l'autismo, la sindrome di Down troviamo una serie di indicazioni sui loro comportamenti che deriverebbero dalla sindrome ai quali ci si collega creando delle aspettative che diventano previsioni (profezie) autoavverantesi (ROSENTHAL JAKOBSON, L'effetto Pigmalione, Franco Angeli, Milano). In un certo senso è possibile collegare a questo l'analisi del linguaggio fatta da Wittgewnstein ( Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino) la cui essenza consiste nei giochi linguistici: le parole non hanno valore in sé, ma nella convenzione dei significati accettati che è frutto di un accordo. Tale convenzione non va accettata una volta per tutta ma continuamente riconcertata, rinegoziata, la parola deriva da una situazione che invecchia storicamente e va continuamente ricollegata con la realtà. Vedi le definizioni, le classificazioni, le diagnosi, che bloccano la persona in una situazione rigida, la determinano, la definiscono e chiaramente la imprigionano (vedi l'etimologia dei verbi de-finire mettere nei confini e de-terminare, ridurre all'interno, stabilire dei limiti o l'aggettivo normale che etimologicamente significa limitato). Ad esempio la definizione di autismo limita la persona diagnosticata, l'esperto, abituato a collegarsi soprattutto dai libri, una volta diagnosticata la persona, deriva in modo deduttivo il comportamento futuro della persona e legge secondo la diagnosi il comportamento pregresso. L'autorità dell'expertise rispetto alla quotidianità dell'esperienza. L'astrazione e la semplificazione dello scritto e della teoria rispetto alla complessità e alla varietà del reale. Bruner sottolinea che occorre andare oltre gli obiettivi convenzionali del positivismo: riduzionismo, spiegazione causale e predizione. In particolare per quest"ultimo atteggiamento nel quale cadono molti esperti dei rapporti umani egli si chiede: Se l'oggetto della psicologia è il raggiungimento di una comprensione. Perchè dovremmo ad ogni costo comprendere in anticipo i problemi da osservare? Il concetto di predizione non è che questo. Alle spiegazioni causali non sono forse preferibili delle interpretazioni plausibili (condivise), soprattutto quando il raggiungimento di una spiegazione causale ci costringe a rendere così artificiale l'oggetto del nostro studio da farlo diventare quasi irriconoscibile come rappresentativo della vita umana? J.S.BRUNER, La ricerca del significato, pag.16.
[11] Determinate dall'influenza dei media dalla pubblicità e dalla televisione che pretendono di costruire una persona a misura di consumismo determinandone bisogni e desideri.
[12] Vedi concezione bancaria del sapere indicata da Paulo Freire ne La pedagogia degli oppressi, edizioni Gruppo Abele.